Lo spettacolo:
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La vicenda nasce attorno ad un litigio che i figli di due coppie, Penelope e Franco, e Giancarlo ed Eleonora, hanno avuto nel vicino parco e che ha causato il ferimento di uno dei due. I quattro si incontrano per discuterne in modo civile ed educato, cominciando la conversazione "in punta di forchetta e guanti di velluto" ma mettendo subito alla luce l'ipocrisia e la falsità di ciascuno. In un crescendo di più o meno velate accuse, considerazioni personali, opinioni opinabili, emergono con prepotenza le personalità e i caratteri, portando rapidamente la situazione a degenerare oltre i limiti di quella moralità, tanto “ostentata” dai quattro.
Il testo, che porterà lo spettatore a ridere delle grossolane contraddizioni della società moderna, è liberamente ispirato al film "Carnage" di Roman Polanski e alla commedia teatrale “Il dio del massacro” della drammaturga francese Yasmina Reza.
Quattro genitori: le loro convinzioni, le loro idiosincrasie, le loro buffe fissazioni; quattro mondi da scoprire pian piano, grazie all’interazione quasi chimica tra i diversi caratteri, che “reagiscono” tra loro a catena, grazie a un meccanismo innescato dalla vicenda, pretestuosa ma non troppo.
Penelope, Franco, Giancarlo ed Eleonora sono innanzitutto maschere sociali, schiave delle “coreografie” convenienti e convenevoli proprie della borghesia degli anni 2000 e di ciò che ci si aspetta da ciascuno di loro. Tuttavia, lentamente, inesorabilmente, si trasformeranno, sino a lasciar emergere dal proprio io più profondo l’istintuale, l’animalesco, il bestiale: liberatorio e aberrante, vero e crudele, ridicolo e terrificante, il dio del massacro eserciterà la sua ineluttabile forza, per metterli (e metterci) loro (e nostro) malgrado davanti a uno specchio terribilmente sincero.
Oscillando tra il detto latino “homo homini lupus” e le “corde” di pirandelliana memoria (la corda pazza, la seria, la civile), la regia si dedica soprattutto a ciò che respira e pulsa sotto, dietro, nonostante il testo: più che sulle parole, ci siamo concentrati sugli sguardi, le piccolezze del non detto, la verità del respiro, la chiarezza dell’azione. Il testo arricchisce il percorso emotivo dei personaggi proprio perché variamente interpretabile – la meraviglia dell’arte teatrale consiste anche in questo: nello scegliere, tra le migliaia di percorsi possibili, una strada, e approfondirla quasi sino al paradosso.
Come nella vita, la varietà di emozioni che si avvicenderanno sul palco sarà grande e colorata: rideremo, disprezzeremo, condivideremo, andremo in empatia, odieremo e ci scandalizzeremo – salvo poi riconoscerci: in uno sguardo colmo di imbarazzo, in un tic, un piagnucolio, un bisogno di sfogarsi, una corda saltata.
Porci davanti a noi stessi, gettare la maschera o quantomeno riconoscerla, valutarne ed eventualmente accettarne le conseguenze. Chi siamo, chi dobbiamo essere, chi vorremmo essere. Cosa di questo arriva ai nostri figli…e quanto ci nascondiamo dietro di loro.
Un viaggio dentro l’io – ego, superego, inconscio; dipendenze; sociopatie; crudeltà e splendore; caos ed equilibrio – che (speriamo) catalizzi l’attenzione fino all’ultimo secondo.
Regia: Chiara Becchimanzi
Con: Michele Firpo, Antonella Michielin, Francesco Portunato e Laura Portunato
Scenografie: Mirco Gaio
Luci e suono: Veniero Levis, Damiano Burigo
Aiuto regia: Lorena De March
Costumi: Fina Lo Cunsolo
🏆 Premi:
2016
• Premio Miglior Attore a Michele Firpo, al Festival “L’Ora di teatro” a Montecarlo di Lucca;
2017
• Premio Miglior Attore a Francesco Portunato e spettacolo 2° classificato della giuria tecnica, al Festival regionale della UILT Veneto di Limena (PD);
2018
• Premio Gradimento del Pubblico allo spettacolo e Premio Miglior Regia a Chiara Becchimanzi, al XXIII Festival “Estate di San Martino” a San Miniato (PI);
• Premio Miglior Attrice Protagonista ad Antonella Michielin e Premio Miglior Regia a Chiara Becchimanzi, al Festival “La Stella delle Stelle” di Allerona (TR).